Non mi è mai piaciuta la fine. La fine di una storia. Di un'esperienza. Di un film. Di un cartone animato. Di un romanzo. Della vita. Io ho sempre amato gli inizi.
Sono bravissima, quando scrivo gli inizi. Solo in questo momento avrei già in testa tre ipotetici inizi di tre romanzi diversi. Gli inizi... Se potessi, pubblicherei un libro di soli inizi.
Coinvolgenti, curiosi, delicati, sospettosi, dettagliati, pieni di voci, suoni, melodie, ronzii e un battito d'ali di farfalla.
Ma la fine, no. Non mi piace mai.
Ricordo che da bambina rimanevo incantata davanti a un cartone animato, era bellissimo. Coinvolgente. Entravo nella storia, così come entravo nella storia di un libro. Era bellissimo quando iniziavano le musiche e Ariel cantava oppure quando Belle scostava le tende della biblioteca e faceva entrare la luce oppure quando Giac e Gas Gas si davano da fare per creare un vestito adatto al ballo. Era bellissimo quando Judy scriveva le lettere oppure quando Jo scriveva il suo romanzo o quando Beth suonava il piano di nascosto oppure quando Candy saltava da un ramo all'altro.
E poi arrivava la fine. "E vissero tutti felici e contenti" e non si sapeva più niente delle vite dei protagonisti. La finestra era stata aperta e poi chiusa su di loro. Fine. Non c'era più niente da dire. O piuttosto, c'era un Deus ex machina che decideva quando chiudere la finestra. E se avessi voluto sapere qualcosa in più?
Ecco, l'inizio, invece, è tutta un'altra storia. Devi conquistartelo il pubblico, devi attirarlo verso la storia e poi dentro la storia e agganciarlo stretto e farci un pezzo di strada insieme. Devi coinvolgerlo, strizzargli un occhio, farlo commuovere, farlo ridere, devi suscitare delle emozioni. Ma non solo all'inizio, anche dopo. Durante.
E se la storia ti piace, entri nella storia, ti emozioni, piangi, ridi, sei parte di essa.
E alla fine? Alla fine c'è sempre "quel senso di..."
Stesso discorso vale per le nuove esperienze. All'inizio è tutto nuovo, sei incuriosito e al tempo stesso timoroso oppure spavaldo e sicuro oppure semplicemente ti butti nella nuova avventura. La vivi. Cresci. Sei più ricco interiormente. Fai un pezzo di strada insieme a qualcuno. Poi l'esperienza finisce. Restano i legami, il ricordo e "quel senso di..."
E nella vita è un po' la stessa cosa. All'inizio, attrai tutti e tutti ti sorridono. Durante, prendi e lasci. Costruisci. E alla fine, beh, alla fine non sai bene com'è, sai solo com'è la fine degli altri. È quasi come un film, ti hanno preso, ci hai fatto un pezzo di strada insieme, hanno suscitato in te delle emozioni, resta il ricordo e poi resta sempre "quel senso di..."
È un po' come quando ti dicono, "Ti piace di più l'alba o il tramonto?"
Ecco, quando me lo chiedevano, diciamo alle scuole medie o all'inizio del liceo, dire "il tramonto" era figo e tutti dicevano che il tramonto era bellissimo, poetico, meraviglievolissimevolmente fantastico per il gioco di luci, il colore del cielo e magari il modo in cui il sole andava a nascondersi dietro al Tirreno.
Io, però, non sono mai andata al mare qui vicino. Io ho sempre visto l'Adriatico. E per me la risposta era "l'alba", ma non avevo mai il coraggio di dirlo a gran voce. Era "l'alba", perché con l'alba iniziava tutto. E c'era un gioco di luci tra cielo e mare, e l'aria era fresca e frizzantina, e il sole spuntava dall'acqua a dare il buongiorno. E a poco a poco il lungomare e poi la spiaggia si riempivano di persone, sempre di più, sempre di più. Ma all'inizio, all'alba, erano poche. Perché l'alba è di nicchia.
Molti dicono che la fine è sempre un nuovo inizio. Sono d'accordo. È il solo modo che ho per farmi piacere la fine.
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Questa riflessione è scaturita dopo aver terminato la lettura di un brano che ho preparato per un corso. Io, inconsciamente, ho preparato l'inizio perché giorni fa non ho avuto modo di leggere il brano per intero. Ora l'ho terminato, tanto per sapere "come andava a finire", e la fine non mi piaciuta. Non credo mi sia piaciuta. Mi ha lasciato un po' di "quel senso di..." che non mi piace granché. Non è un "quel senso di..." positivo. È piuttosto un "quel senso di..." del tipo: "Vabbè, chisseneimporta, avrei potuto anche non finirla questa storia, che forse mi sarebbe piaciuta di più". O forse questa è solo la parte più ignorante di me che non capisce il sublime. Fatto sta che una manciata di minuti fa ero più felice. Mi piaceva di più quando non sapevo la fine.
E voi preferite l'inizio o la fine? L'alba o il tramonto?