Ci sono giorni strani.
Giorni in cui ti svegli la mattina e ancora prima di alzarti qualcosa ti fa pensare che oggi, proprio oggi, ricorre un triste anniversario per te e per la tua famiglia. E non un anniversario qualunque, ma il decimo, che è un numero terribile, perché ti rendi conto che è passato veramente un sacco di tempo. Lento, lungo logorio. Perché quel giorno di dieci anni fa, che era un mercoledì, l'alba di un mercoledì, quando tutta la città dormiva e tu ti sei svegliata con la voce preoccupata di lei al telefono che parlava con un operatore del 118 e sei andata di là, dritta da lui, e lo hai trovato disteso a terra, gli occhi azzurri spalancati al cielo. Immobile. Sembrava. Ma no, respirava in maniera impercettibile. Ecco, quel giorno di dieci anni fa ha segnato uno spartiacque nella tua vita e nelle vite di tutti: c'era un prima e c'è un dopo. E a volte, il prima quasi non te lo ricordi più. Perché era un'altra vita. Una, due, tre, forse quattro vite fa. Una vita distante, che quasi non ti appartiene più. Una vita, per alcuni aspetti più semplice, ma alla quale - è strano dirlo - non torneresti, perché vuoi solo andare avanti.
Poi ti fai la doccia, mangi qualcosa ed esci. Lasci il cell spento, perché da un po' non lo sopporti quando suona. Arrivi a lezione giusto in tempo. Mangi da sola. E ti butti in biblioteca ad autocorreggerti la tesi, perché vuoi essere precisa e non fare ulteriori figure di bip. Esci quando ti cacciano via perché stanno chiudendo e pian piano ti riavvii verso casa. Ci metti quasi due ore per tornare a casa, un tempo perso che ormai non sopporti proprio più. E quando un signore, per sedersi in treno, ti fa accatastare borseborsine&borsette mentre tu distrattamente ascolti la musica scaricata quattro anni fa nell'iPod che ti hanno regalato e che tu non avresti mai comprato perché a te le mode non piacciono e pensi che sarebbe ora di scaricare anche qualcos'altro, ti viene in mente che forse mamma ti ha chiamato. E allora accendi il cell. Ci sono due chiamate perse e provengono dallo stesso numero. È un numero simile alla segreteria dell'uni, così controlli un attimo, ma non è la segreteria che ti ha cercato. Eppure, eppure quel numero ha a che fare con l'università secondo te. Ma perché l'università dovrebbe chiamarti? Eureka. Un motivo ci sarebbe. E ti spunta un sorriso. E inizi a fantasticare. E quel trenino romano d'un tratto si trasforma nella metropolitana di un'altra città, una città lontana un oceano. E quella tizia col naso adunco si trasforma nel bassista di una band di laggiù. E tu ridi tra te e te mentre ti accorgi che un paio di signore ti scrutano con aria interrogativa. Ma loro non lo sanno che ti passa per la testa, altrimenti sorriderebbero anche loro. Nel frattempo, il signore che ha scatenato tutto ha controllato i messaggi con te e, mentre tu fantasticavi, è sceso. La musica continua a scorrere nelle cuffie e a scandire le varie stazioni alle quali tu non fai caso, perché sai che manca ancora un po'. E poi un altro po'. Poi ti chiama mamma. Sei quasi arrivata. Scendi. Anche la temperatura è scesa. Ti avvii verso casa con calma, sai che ci vuole un po'. Altri venti minuti trascorrono lenti, scanditi da qualche canzone passata da Tizia e da Caio e per un attimo pensi a loro. In fondo è per questo che le hai inserite nell'iPod, per pensare a loro e sorridere una volta in più. Arrivi a casa sulle note di Ciao, maledetto ciao, ora sono qui, voglio sorridere. Ciao, maledetto ciao, nell'aria resterai, gioia di vivere, e sorridi mentre ti chiedi come sia finita lì quella canzone. Tu, che non ascolti musica italiana. O che ne ascolti proprio poca. Allora ti ricordi che lei era la tua cantante preferita quando avevi tre anni e pensi che a tre anni dovevi essere proprio rock. Peccato che l'adolescenza abbia scombussolato tutto e che sì, hai imparato l'inglese anche grazie alla musica ascoltata in quel periodo, ma non ti capaciti di come sia stato possibile passare da Gianna ai Take That! Intanto, gradino dopo gradino arrivi fin su. Casa dolce casa. Anche se a volte è meno dolce e altre è stata dolcissima. Doccia. E prima di cenare vai da lui e glielo spifferi, perché hai una gran voglia di dirlo a qualcuno e sai che lui custodirà il tuo segreto e senti quelle parole: "Parti. È importante viaggiare, conoscere. Vai, vai" e tu ti chiedi se te le avrebbe dette prima di dieci anni fa, ma non puoi saperlo e non ha nemmeno importanza saperlo. Ciò che conta è oggi, qui e ora. E oggi, qui e ora è bellissimo ascoltarle. Poi ceni, metti in ordine e torni in camera. Accendi il pc e pensi di fare una cosa che non hai mai fatto: controlli la mail d'Ateneo. Tenti di aprire proprio la mail senza oggetto, quella che ti hanno spedito oggi, e non ti rendi conto che è già aperta, è lì davanti ai tuoi occhi, perché tu la mail d'Ateneo non l'hai mai usata. E sì, non ti sbagliavi, era così. I tuoi ci hanno messo sempre tanto, ma alla lunga si sono avverati. Forse perché non erano nemmeno sogni, erano "cose" che hai cercato di guadagnarti senza scorciatoie. Una, due, tre e ora quattro volte. Non sai cosa succederà domani, però oggi va bene così.
Ci sono giorni strani.
Giorni in cui ti svegli la mattina e ancora prima di alzarti sai che la giornata che ti si prospetta sarà grigia. E poi lentamente, lentamente, scopri che anche i tuoi sogni, ogni tanto, diventano realtà.
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